domenica 31 maggio 2009

Le origini di Taranto


Le origini di Taranto si perdono nella più remota antichità, perché, come per la Grecia stessa, così anche per Taranto c'è stato un periodo pre-ellenico.
Circa 2500 anni prima di Cristo, popolazioni di Hethei-Pelasgi, dopo aver colonizzato le coste dell'Egeo, vennero a stabilirsi nelle immediate vicinanze dell'attuale città e più precisamente nella zona che va da Capo San Vito a Leporano, dove fondarono una città cui diedero il nome di Saturo, nome che ancor oggi identifica quella contrada, cioè città (-Ur) dedicata a Sat, loro somma divinità.
Narra la leggenda che l'eroe spartano Falanto, prima di avventurarsi nel mare alla ricerca di nuove terre, consultò l'oracolo di Delfi e apprese che sarebbe giunto nella terra di Saturio (nella penisola salentina) e avrebbe fondato una città sul luogo in cui gli fosse caduta addosso una pioggia da "etra", ossia da un cielo sereno e senza nuvole. Falanto si mise in mare e giunse alla foce del fiume Tara. Stanco del viaggio, si addormentò. La moglie, a ricordo delle peripezie sopportate e dell'oscuro responso dell'oracolo, pianse a dirotto. Le sue lacrime bagnarono abbondantemente il volto del marito. L'oracolo si era avverato. Una pioggia era caduta su Falanto: le lacrime della moglie "Etra". L'eroe, sciolto l'enigma, si accinse a fondare la sua città, dopo un sacrificio ad Apollo, a cui fu cara.
Accanto a questa versione sull'origine di Taranto, ve n'è un'altra che farebbe risalire la nascita della città a 2000 anni prima di Cristo, ad opera degli immediati discendenti di Noè, i cosiddetti Noechidi, i quali, dopo il diluvio universale, si sarebbero dispersi nelle diverse parti del mondo, provvedendo poi, gradatamente, ad incrementare la popolazione.
E si vuole appunto che in tale epoca, Tiras, oppure Taras, alla maniera greca, uno dei figli di Nettuno, sua giunto in questa regione, a capo di una flotta, approdando presso quel corso d'acqua che poi da lui stesso avrebbe preso il nome (si tratta appunto del fiume Tara, che scorre a circa 10 km dalla città, in contrada Cagioni). Poi, sempre secondo la leggenda, Taras si sarebbe dedicato ad edificare, presso lo stesso fiume e presso il mare, non solo la città che ugualmente da lui avrebbe preso il nome (appunto Taras, poi Taranto), ma anche quella che egli dedicò a sua moglie Satureia che chiamò Saturo.
Ad avvalorare, però, un po' di più la seconda ipotesi, c'è il grande culto che l'antica Taranto ebbe per Nettuno e naturalmente nella città, non poteva non essere eretto un tempio dedicato a questa mitica divinità.
La tradizione più accreditata, infatti, voleva che tale tempio sorgesse precisamente nello spazio compreso tra la Chiesetta della Trinità e la sede municipale. Tale tradizione si è dimostrata vera, poiché, dopo opportuni lavori, che hanno però fatto sparire la Chiesetta della Trinità, sono stati portati alla luce alcuni reperti ed una colonna di un tempio.
La leggenda aggiunge che un certo giorno Taras sarebbe scomparso nelle acque del fiume e dal padre sarebbe stato assunto fra gli eroi. Questa favolosa sparizione di Taras fu poi, da uno dei nostri maggiori storici, il Giovan Giovine, affiancata e rafforzata alla ugualmente leggendaria sparizione di Romolo, il mitico fondatore di Roma.
Più tardi, nel secondo millennio, a.C. giunsero anche delle colonie Arii, alcune dall'interno, altre, invece, dal mare, attratte certamente dalla particolare conformazione della costa: essi infatti costruirono le loro case su palafitte. A legittimare questa tesi sta il fatto che intorno al 1900, mentre si attuavano gli scavi per il porto mercantile, venne scoperto, presso lo scoglio del Tonno un intero paese di questa popolazione. A poco a poco gli Arii riuscirono a controllare tutto il territorio dopo aver sottomesso i Pelasgi. In questo periodo la città cambiò nome, assumendo appunto il nome di Taras, dal mitico figlio di Nettuno.
La cronologia tradizionale, che è dello storico greco Eusebio, assegna la data della fondazione di Taranto al 706 a.C.. Le fonti storiche tramandano la notizia del trasferimento di alcuni coloni spartani in questa zona per necessità di espansione o per questioni commerciali, che interruppero bruscamente la vita precedente, distruggendo l'abitato indigeno e portando una nuova linfa di civiltà, di consumi, di tradizioni. La documentazione epigrafica ha dimostrato che a Taranto era diffuso il tipico dialetto dorico parlato nella Laconia, la regione in cui in questo periodo dominava già il centro di Sparta. L'organizzazione sociale e la cultura materiale dei coloni, mostravano forme più complesse rispetto a quelle manifestate dalle comunità indigene. La struttura sociale della colonia espresse ben presto l'emergenza di una oligarchia economica, che sviluppò nel tempo una vera e propria cultura aristocratica.
In età ellenistica e romana
Non sappiamo nulla dei primi due secoli di vita della città; il suo porto costituiva un tappa obbligata della navigazione da Oriente a Occidente e i ricchi corredi funerari della necropoli mostrano l'esistenza di intensi scambi commerciali. La ricchezza della classe aristocratica proveniva, probabilmente, dallo sfruttamento delle risorse del fertile territorio circostante, che venne popolato e difeso da una serie di "phrouria", piccoli centri fortificati in posizione strategica. Sin dall'inizio i rapporti con il mondo indigeno circostante risultavano abbastanza difficili: continue aggressioni venivano effettuate ai danni dei vicini Peuceti e Messapi; intorno al 500 a.C. la città sembrava essere governata da un istituto di tipo monarchico; è noto un re o tiranno di nome Aristophilides e contemporaneamente è attestata una conflittualità politica, tanto che vengono ricordati esuli, come un certo Gillos, riparato in Messapia.
Ma nel 473 a.C., la città subì una tale sconfitta da parte dei Messapi e degli Japigi, da indurre lo storico greco Erodoto ad affermare che quella dei tarantini fu la più grave sconfitta inflitta a popolazioni di stirpe greca. Secondo Aristotele l'evento provocò la crisi della classe aristocratica al potere, decimata dalla guerra, che non poté opporsi ad una rivoluzione istituzionale di tipo democratico.
Nella prima metà del V sec. a.C. la città subì una profonda trasformazione, anche dal punto di vista urbanistico. Si costruì una nuova cinta difensiva e si ampliò la superficie monumentale, proseguendo un processo già avviato agli inizi del VI sec. a.C. e documentato dalla costruzione di un imponente tempio dorico sull'Acropoli (attuale Città Vecchia), di cui si vedono ancora i resti in piazza Castello.
Il rivolgimento costituzionale, inoltre, non arrestò la politica aggressiva nei confronti del mondo esterno; la città, infatti, ingaggiò una guerra, tra il 444 ed il 433 a.C., con la colonia panellenica di Thourioi, per il possesso della Siritide, il territorio tra i fiumi Sinni e Agri. Il conflitto si concluse con l’accordo per la deduzione di una subcolonia mista di Thurini e Tarantini, che prese il nome di Herakleia, in cui prevalse ben presto la componente dorica di Taranto.
Verso la fine del secolo Taranto si allineò alla politica spartana, in occasione della guerra del Peleponneso, senza entrare direttamente nel conflitto, ma negando l'approdo alle navi della flotta ateniese in rotta verso la Sicilia.
Il periodo di maggiore floridezza vissuto dalla città è comunque, il VI sec. a.C.. Verso la metà del secolo il governo settennale di Archita segnò l'acme dello sviluppo tarantino ed il riconoscimento di una superiorità politica sulle altre colonie dell'Italia meridionale, che si concretizza nella supremazia nell'ambito della lega italiota. Ma nel 303-302, i Lucani si allearono con Roma, con il chiaro scopo di frenare l'espansione della città, la quale, tuttavia, chiese aiuti alla madre-patria Sparta. Roma, invece di aprire le ostilità, preferì offrire la pace alla città magno-greca: nei trattati fu inclusa la famosa clausola, secondo la quale era vietato alle navi romane di spingersi più ad oriente del promontorio Lacinio.
Anche questa volta il predominio del golfo rimaneva nelle mani di Taranto. Ma nel 281 a.C. il pretesto per un'ulteriore guerra fu offerto da una richiesta di protezione che gli abitanti di Thurii, assediati dai Lucani rivolsero a Roma, che, come sempre, accolse prontamente l'invito e mandò una guarnigione per mare. Era, questa, una svolta negli avvenimenti di indubbia importanza, perché per la prima volta i Romani si inserivano nelle lotte tra Italioti ed indigeni. Le navi romane, infatti per raggiungere Thurii, dovettero oltrepassare il Capo Lacinio; i Tarantini tralasciarono questa prima infrazione dei trattati, ma, quando i Romani pretesero di ormeggiare nel porto, i Tarantini considerarono il fatto come una vera provocazione: assalirono perciò le navi e ne affondarono quattro. Nacque così il conflitto tra Roma e Taranto, che terminò con la sconfitta della città magno-greca, nonostante l'aiuto ricevuto da Pirro, re dell'Epiro. Come condizione di resa, Taranto fu costretta a consegnare, fra l'altro, un congruo numero di navi a Roma, che temeva evidentemente una nuova crescita di Taranto.
Nel 213 a.C., si verificò l'ultimo tentativo di ribellione in occasione della spedizione di Annibale in Italia. Al momento della rivolta, il corpo civico tarantino si era diviso; infatti una parte di esso, forse il settore aristocratico, si era rifugiata sull'Acropoli con le truppe del romano M. Livio. La conclusione fu tragica: Quinto Fabio Massimo, infatti, riconquistò la città con uno stratagemma nel 209 a.C., mettendola a sacco e ricavandone un cospicuo bottino in materiali preziosi, beni artistici e schiavi. Il Senato romano non privò la città della sua autonomia amministrativa; economicamente, però, le proibì di coniare moneta e lo sviluppo progressivo del porto di Brindisi, concorrenziale, segnò una profonda decadenza.
Al 123 a.C. risale la fondazione di una colonia romana voluta da C. Gracco, che sfruttò il territorio confiscato dallo stato romano. Comunità greca e colonia romana confluirono poi, dopo l'89 a.C., in un'unica struttura amministrativa, un "municipium" che segnò l'omologazione completa di Taranto nell'Italia romana.
Augusto fu a Taranto nel 37 a.C. per incontrare Marco Antonio, nell'occasione della stipula di uno storico patto. In questo periodo la città venne fornita di un acquedotto e di un anfiteatro.
Il I sec. a.C. sembra essere stato caratterizzato da una sopravvivenza difficile e solo verso la sua fine si registrò una certa ripresa. Nella città, forse all'epoca di Traiano, fu costruito il complesso delle terme Pentascinenses. In età tardo antica, il centro mantenne un buon livello di vita urbana e nel IV sec. d.C. si restaurarono le terme. La storia di Taranto dopo la caduta dell'Impero d'Occidente rimase avvolta in una foschia piuttosto impenetrabile; dopo tanto splendore lo stato di decadenza in cui essa si abbandonò fu lungo ed inesorabile.
La nuova era cristiana trovò Taranto ridotta ad una provincia dell'Impero romano; poi vennero i Goti, i Longobardi, gli Ungari, i Saraceni. 
Conobbe il ferro di Odoacre, di Teodorico.
Giustiniano Belisario la rioccupò e la ripopolò, ma Totila con i suoi Goti la conquistò, creandovi addirittura un forte presidio.
Il generale greco Narsete, successo a Belisario, sconfisse Totila e la rifece bizantina.
Poi, nel 568 calarono i Longobardi di Alboino e la conquistarono.
Dall'827 al 927, i saraceni se la contesero attraverso varie sanguinose incursioni.
Conobbe le fasi alterne di dure battaglie a periodi di triste dominazione.
In suo aiuto accorsero Papa Gregorio IV, l'imperatore Teofilo, Venezia, l'imperatore Basilio.
Tutta una serie di vittorie e di sconfitte, sfocianti, alla fine, nell'immane saccheggio del 15 agosto 927.
I musulmani distrussero ogni cosa, infierendo contro i cittadini, massacrandoli senza pietà. Con le violente scorribande di questi ultimi, si ebbe la definitiva distruzione della vecchia Taranto greco-romana.
Pochi scamparono alla morte cercando rifugio nelle Murge.
Solo dopo quarant'anni, nel 967, l'Imperatore bizantino Niceforo Foca, che è giustamente considerato il secondo fondatore di Taranto, cedendo alle reiterate pressioni dei superstiti, s'interessò alla città decidendo di ricostruirla. Ne nacque quella che noi oggi chiamiamo 'città vecchia', che conserva ancora l'originaria struttura urbanistica. Niceforo Foca ne intuì la posizione di notevole importanza militare e realizzò un ponte su sette arcate (Ponte di porta Napoli) distrutto dall'alluvione del 1883, un castello sull'attuale canale navigabile.
Spazzò le rovine della città vecchia e dell'acropoli, ottenendo una spianata ad un lato del mar piccolo, su cui dovevano sorgere i quartieri della Marina la via di mezzo, la Piazza Fontana. 
Per facilitare il lavoro dei pescatori, abbassò il livello della città lungo il Mar Piccolo, unì la città vecchia alla terra ferma costruendo il ponte di pietra, e ricostruì l'antico acquedotto romano del Triglio, che, proprio attraverso il ponte di pietra, convogliava nella città le acque delle vicine Murge. Di questo acquedotto sono ben visibili i ruderi sulla strada Taranto-Statte. I pescatori che erano emigrati verso la Penne, portando con sé il bagaglio di paura e di dolore, fiduciosi cominciarono a rientrare ed a popolare la zona dell'attuale Via Garibaldi.
"Sulla morte la vita iniziò a rinnovellarsi, traendo il canto di resurrezione quasi simbolicamente dai colori dell'Arcobaleno, posto dalla Maestà di Dio ad indicare la fine della tempesta.
Se la spada dei barbari s'era levata omicida sull'uomo e sulle sue opere di civiltà, non prevalse sulle forze della Natura, ché anzi la frantumarono ristabilendo pace e giustizia per i caduti e gli oppressi".
Successivamente la città fu conquistata dai Normanni e, dall'epoca di Roberto di Guiscardo, nel 1085, viene fatto risalire l'inizio della storia del famoso Principato di Taranto.
Ai Normanni succedettero gli Svevi. Federico II arricchì Taranto della "Rocca Imperiale", magnifico palazzo con funzione di roccaforte, ubicato dove oggi sorge la chiesa di S. Domenico Maggiore. Lo stesso imperatore investì suo figlio Manfredi del titolo di principe di Taranto.
Nel 1266, con la sconfitta di Manfredi a Benevento, da parte di Carlo d'Angiò, Taranto passò ai Francesi. Il titolo di principe su assegnato a Filippo d'Angiò.
Nel complicato sistema protettivo della vecchia Acropoli, nel 1404 Raimondello Orsini del Balzo fece costruire una massiccia torre quadrata, che vigilava l'ingresso in città dalla Porta Napoli, dominava quella che ancora attualmente si chiama Piazza Fontana e che per deplorevole incomprensione degli amministratori dell'epoca, fu fatta demolire nel 1884.
A questo lungo e prosperoso periodo di quattro secoli, si fanno risalire la costruzione della Cattedrale di San Cataldo, l'intensificazione del culto per il Patrono e la costruzione della monumentale chiesa dedicata a San Domenico Maggiore.
Altro avvenimento di rilievo per Taranto fu la trasformazione in isola dell'antica Acropoli, mediante il taglio della penisoletta, con la creazione del famoso "fosso", con funzione protettiva della città, che poi fu allargato ed approfondito divenendo, nel 1836, l'odierno Canale navigabile.
Dopo ancora altre vicende, nel 1463 il Principato di Taranto fu annesso al Regno di Napoli, diventando città demaniale del regno aragonese. Col passare del tempo gli aragonesi decisero di fortificare la città, minacciata dai Turchi e dai Veneti. Si cominciò: a costruire il Castello Aragonese, completato con fosso e fossato nel 1492, come si legge sullo stemma aragonese sistemato sulla porta Paterna; mentre l'altro blocco difensivo che terminava sul mar Piccolo fu terminato a spese dell'"Università" (Comune).
La fortezza poteva ospitare dai 300 ai 400 soldati ed era predisposta per circa 60 bocche da fuoco; verso la fine del 1494 mentre si ultimavano i lavori esterni il re di Napoli ordinava di affrettare i lavori perchè i Francesi spinti dal Papa minacciavano sempre di più il regno aragonese.
Carlo VIII di Francia spinto dal Papa scese in Puglia nel 1495 per toglierla agli aragonesi. Le truppe aragonesi, minacciate si sbandarono e a Taranto il castellano aragonese scappò via lasciando il castello al comune e al popolo tarantino. Il comando del castello fu dato a due tarantini (Muscetola e Caputo) e si organizzò la difesa armandolo mentre veniva ammainata la bandiera aragonese.
I francesi capirono così che non avrebbero trovato nessuna resistenza da parte dei tarantini e infatti nei primi mesi del 1495 entrarono in città e si presero il castello senza sparare un colpo.
Ad ottobre del 1495 le truppe aragonesi comandate da Don Cesare d'Aragona, vennero a Taranto e la assediarono per circa un anno e mezzo. L'assedio terminò nel febbraio del 1497 quando i pochi francesi stanchi ed ammalati si arresero a Don Cesare mentre a Napoli diventava re d'Aragona suo fratello Federico.
Gli Aragonesi per riconquistarsi i favori del popolo tarantino concesssero alcuni benefici ed addirittura venne a Taranto la stessa regina Isabella, moglie di Federico e in suo onore ci furono tre giorni di grandi feste sia nel castello, dove alloggiò, che in città.
Dopo soli quattro anni dalla venuta della regina a Taranto il Papa Alessandro VI convinse i Francesi e gli Spagnoli a combattere contro gli Aragonesi. Il re Federico fu costretto così a fuggire nel settembre del 1501 lasciando come vicario il duca di Calabria Ferdinando suo figlio che dal castello di Taranto cercò di organizzare l'ultimo tentativo di difesa. Ma il 1 marzo 1502, dopo alcuni mesi di assedio il Duca Ferdinando aprì le porte del castello agli Spagnoli ai quali consegnò castello e città. Quel giorno fu ammainata per sempre la bandiera aragonese e a testimoniare il loro passaggio sulla città sono rimasti ancora oggi il castello e il loro stemma.
Sotto la dominazione spagnola Taranto divenne città demaniale con un consiglio comunale che sceglieva la giunta che a sua volta nominava il sindaco, (naturalmente sotto il controllo spagnolo). In onore di Carlo V si costruì in piazza Fontana una grandissima e bella fontana sormontata dallo stemma degli Asburgo.
Dopo le lotte tra Francia e Spagna per il possesso dell'Italia, seguite alla discesa di Carlo III (1492), Taranto cadde definitivamente, come tutta l'Italia Meridionale, sotto il dominio spagnolo che, sancito dalla pace di Cateau Cambresis (1559) durò fino al 1715 (trattato di Utrecht).
Anche sotto gli Spagnoli, Taranto continuò ad essere esposta al pericolo turco. Quando Filippo II di Spagna decise di organizzare una grande spedizione navale per arginare la continua invadenza dei Turchi, fece concentrare proprio a Taranto le navi cisterne prima della battaglia di Lepanto (1571), nella quale la flotta turca fu sconfitta.
Quei Turchi contro i quali avevano combattuto gli Aragonesi, anche ora, sotto il dominio spagnolo continuavano a minacciare il Mediterraneo e la città di Taranto. Mentre il castello si andava sempre più rovinando con riparazioni che non si potevano fare per mancanza di fondi, il numero degli uomini che alloggiavano nel castello si ridusse a soli quattro vecchi soldati che si stabilirono lì con le loro famiglie.
Di questa situazione ne approfittarono i Turchi che per sei mesi si fermarono indisturbati nelle isole Cheradi (1554). Quando andarono via si fecero progetti per fortificare l'intera città vecchia mentre lungo tutta la costa del Mar Grande venivano costruite numerose torri di avvistamento: "le torri costiere" (torre Saturo, torre Castelluccia, torre Ovo, ecc.).
In città furono iniziate le opere di fortificazione, ma prima ancora che queste fossero ultimate i Turchi attaccarono nuovamente la nostra città:. Il primo attacco avvenne a S.Maria della Giustizia, poi attaccarono a Capo San Vito distruggendone il fortino e infine furono vinti dal popolo tarantino presso la Masseria Battaglia (al bivio tra Lama e S.Vito); tentarono ancora di attaccare il castello (che era stato riarmato) ma furono respinti e infine definitivamente sconfitti nei pressi del fiume Tara.
Nel 1647, in concomitanza con i moti di Napoli guidati da Masaniello, anche a Taranto scoppiò una rivolta popolare quando il re Filippo IV pretese che si arruolassero anche i giovani di circa 18 anni. Ma la rivolta non servì a nulla e venne subito ucciso Nicola Diletto che aveva spinto il popolo a ribellarsi, mentre gli Spagnoli mandarono a chiedere aiuto al Duca Caracciolo di Martina e al principe Albertini di Faggiano. Il popolo guidato da Giandonato Altamura fece prigioniero il principe di Faggiano e il duca di Martina attaccò la città; fece finta di attaccare Taranto dalla parte di Porta Napoli mentre la maggior parte dei suoi soldati aspettava dalla parte del Borgo. Gli Spagnoli aprirono la porta Paterna e attraverso il ponte del "Soccorso" entrarono nel castello per uscire poi dal ponte dell'"avanzata" entrando così nella città vecchia e prendendo il popolo in rivolta alle spalle. Sconfitto, Altamura fu impiccato su un torrione del castello e i giovani diciottenni furono costretti ad arruolarsi.
Nella seconda metà del 1600, mentre in Europa divenivano sempre più: potenti l'Inghilterra e la Francia, la Spagna si interessava sempre meno del meridione d'Italia e si interessava sempre di più delle sue colonie dell'America centro-meridionale dalle quali ricavava argendo e oro (dopo la scoperta dell'America, infatti, il mediterraneo perse la sua importanza per gli scambi economici).
Per un lungo periodo di anni, soprattutto due furono i centri propulsori della vita cittadina: il Castello, in funzione di vita militare e civile, e l'Episcopio, intorno al quale si sviluppava ogni forma di attività culturale e religiosa. Ma per trovare concrete significative manifestazioni di affermazioni del pensiero e della cultura, bisogna giungere all'epoca del Rinascimento che segnò l'inizio dell'età moderna, caratterizzata dall'uso rinnovato della lingua, dal rinnovarsi delle arti, degli studi, della politica, dei costumi, sullo spirito dell'antichità classica. Tra i maggiori scrittori dell'epoca: Tommaso Nicolò - d'Aquino, intorno al quale si raccolsero molti altri ingegni.
Al contrario la vita economica, commerciale, industriale e civile traeva i sostentamenti dalla pesca, dalla molluschicoltura, dalla produzione agricola del retroterra, dall'arte tessile, caratterizzata dalla produzione della "felpa", di cui si faceva larga esportazione.
All'inizio del 1700 le fortificazioni della città erano in completo stato di abbandono, mentre gli austriaci erano alle porte. Infatti in seguito a contrasti dinastici il grande impero di Carlo V, dopo circa 200 anni si era diviso e l'impero austriaco era ritornato agli Asburgo che entrarono in lotta con gli Spagnoli. Nel 1707 gli Austriaci entrarono a Napoli senza combattere e festeggiati dal popolo.
Anche a Taranto la notizia dell'arrivo a Napoli degli Asburgo fu accolta con entusiasmo e quando gli Austriaci giunsero a prendere possesso del Castello fecero sistemare sulla porta del ponte dell'"avanzata" lo stemma asburgico, che ancora oggi si può vedere, anche se consumato dal tempo. La loro permanenza a Taranto, però durò fino al 1734 quando gli Spagnoli con Carlo III di Borbone (imparentato con il regno di Francia) rioccuparono Napoli. Il re austriaco si ritirò in Puglia aspettando rinforzi ma fu definitivamente sconfitto a Bitonto, vicino Bari.
A Taranto nel 1734 fu mandato il Barone Basta di Monteparano per riportare il dominio spagnolo. Al sindaco di Taranto Galeota fu dato il titolo di "Regio governatore" e di "Castellano". Ma dopo meno di due mesi il comando del Castello gli fu tolto perchè, secondo la corte di Napoli, non era stato capace di controllare una piccola rivolta popolare.
Il Castello passò nelle mani del Duca Petraccone Caracciolo che pensava più al lusso e alle feste che alle fortificazioni. Col passare degli anni il Castello andava sempre più in rovina; nel 1755 su cercò finalmente di sistemare il Castello ed il canale mentre il fossato dalla Torre S.Angelo alla Torre della Bandiera venne trasformato in uno stupendo giardino con alberi da frutto.
Nel 1765 fu finito di costruire il Convento dei Frati Alcantarini (sede oggi del museo arcgeologico) vicino alla chiesa di S.Pasquale. Qualche anno dopo fu nominato Arcivescovo di Taranto Monsignor Capecelatro che si occupò non solo di fede ma tentò di fondare un primo museo, raccogliendo nella sua villa (sul Mar Piccolo nella zona dell'Ospedale Militare), numerosi reperti archeologici che si trovavano in città; fece conoscere ai contadini nuove tecniche di coltivazione e di produzione dell'olio; tentò di rendere abitabile la zona dell'attuale Borgo, allora quasi tutta terra coltivata di proprietà dei conventi e del Comune, ma gli abitanti della città vecchia non accettarono di abbandonare l'isola. Nel 1765 fu fatta per la prima volta la processione dei "Misteri" così come avviene oggi.
Dopo la presa della Bastiglia, il 14 luglio 1789, e con la nascita della "Repubblica Francese" le idee rivoluzionarie arrivarono anche a Napoli e a Taranto. Sul Castello ormai carcere affidato a vecchi soldati in pensione, fu facile sostituire l'8 febbraio 1799 la bandiera borbonica con quella tricolore repubblicana (rosa, gialla, azzurra). Ma la Repubblica di Taranto durò solo un mese perché nel frattempo il re di Napoli il Borbonico Ferdinando IV era ritornato al potere aiutato dal cardinale Ruffo.
Passata successivamente ai Borboni, incorporata nel "regno di Napoli e Sicilia", continuò una vita oscura senza avvenimenti importanti, all'infuori di quelli del 1799, anno in cui, aderì alla Repubblica Partenopea.
Nel periodo napoleonico, Taranto riacquistò importanza quale base navale e militare, per opera di Giuseppe Bonaparte e Giocacchino Murat, che la dotarono di fortificazione, di caserme e di un arsenale.
Al decennio di occupazione francese, seguì il ritorno dei Borboni, che segnò per Taranto un lungo periodo di abbandono, a causa della totale assenza di interessi marittimo-militari. Fu, comunque, un trentennio piuttosto tranquillo, fatta eccezione per alcuni episodi di brigantaggio.
Nel 1860 fu liberata dalle truppe di Garibaldi. Subito dopo l'incorporazione di Taranto nel regno (1861), alcuni illustri Tarantini, tra i quali Cataldo Nitti e Nicola Mignognia, si adoperarono per la sua valorizzazione dal punto di vista militare e marittimo. La città e i cittadini acquisirono una nuova fisionomia. Una volta decisa l'istituzione di una base navale prima, con l'arsenale militare e marittimo, di una piazzaforte poi e promossa Taranto a sede del Comando del III Dipartimento marittimo, la città visse intensamente i grandi eventi della patria: la battaglia di Lissa (1866), le vicende della guerra di Libia e di Etiopia e dei due conflitti mondiali.
Contemporaneamente si assistette all'espansione cittadina al di là del Fosso. Fu abbattuta la parte occidentale del castello Aragonese, fu trasformato l'antico fossato in Canale Navigabile, congiunte le due opposte sponde con un ponte e venne dato un impensabile impulso alle costruzioni edilizie; il primo edificio innalzato nella città nuova, o meglio nel Borgo, come si cominciò a denominarla, fu l'attuale palazzo Ameglio dell'avvocato don Domenico Savino.
All'inizio del secolo l'aumento dei prezzi degli alimenti di prima necessità, gli affitti troppo alti e la nuova epidemia di colera del 1910 crearono nuovi problemi anche sul piano economico soprattutto per l'industria delle ostriche e dei mitili, portando allo scontro armato il popolo e i carabinieri. In quella occasione numerosi furono i feriti e ci furono anche tre morti, tra cui il piccolo Nicola Morrone di soli otto anni.
Negli anni successivi in arsenale si lavorava per preparare le navi che dovevano partecipare alla guerra per la conquista italiana della Libia. L'Italia infatti già dalla fine del 1800 aveva iniziato a compiere delle spedizioni in Africa conquistando prima l'Eritrea e poi la Somalia Italiana e nel 1911 iniziò la guerra contro la Turchia che possedeva la Libia. La guerra fu vinta e la Libia venne assegnata all'Italia. L'annuncio della guerra libica venne dato a Taranto nel teatro Alhambra dove il pubblico era riunito per assistere ad uno spettacolo. La notizia fu accolta con entusiasmo dai tarantini che vedevano in questa grandi vantaggi economici.
Poco prima che scoppiasse la 1a Guerra Mondiale nasceva a Taranto una nuova industria, quella dei cantieri navali Franco Tosi. Quando, nel 1915, scoppiò la 1a Guerra Mondiale la città fu trasformata in una gigantesca caserma dove transitavano decine di migliaia di soldati di tutte le razze e nazioni diretti al fronte. La guerra fu vissuta nella sua brutalità a Taranto solo una volta, la notte tra il 2 e il 3 Agosto del 1916, quando per un attentato esplose la nave militare LEONARDO DA VINCI. La presenza a Taranto di molti militari portò a migliorare le condizioni economiche di quei commercianti che vendevano forniture militari (sia di vestiario che alimentare). Anche l'arsenale e i cantieri navali lavorarono molto di più per riparare le navi danneggiate dalla guerra e gli operai venivano pagati meglio. Ma la maggior parte della popolazione aveva grandi problemi economici per colpa dell'inflazione che port&oGrave; a diminuire sempre più il "potere d'acquisto" dei loro stipendi. Il cibo scarseggiava per tutti e fu la marina che provvide al razionamento e alla distribuzione dei generi alimentari.
Al termine della guerra quando i cantieri e l'arsenale videro di colpo diminuire il loro lavoro, le condizioni economiche erano disastrose per tutti, tranne che per quei pochi che con la borsa nera si arricchirono durante la guerra. Il disagio economico portò a numerose dimostrazioni che il più delle volte finirono in scontri violenti tra dimostranti e poliziotti. Nell'estate del 1920, con la chiusura dei cantieri Tosi si assistette a nuove dimostrazioni operaie. Ma alle porte era l'arrivo degli squadristi fascisti che nel novembre dello stesso anno intervennero armati contro gli operai in corteo.
La città per la maggior parte accettò senza grande entusiasmo (ma anche senza grande opposizione) la scalata al potere di Mussolini. Solo alcuni piccoli gruppi di operai ed alcuni iscritti al partito "clandestino comunista" si opposero al regime, ma furono duramente perseguitati dai fascisti e alcuni furono uccisi.
In quegli anni la città vide i cantieri e l'arsenale riprendere nuovamente i lavori ed ingrandirsi dal momento che servivano armi e navi per le "guerre coloniali". Inoltre pian piano la città subì nuovi cambiamenti: numerosi stabilimenti balneari vennero costruiti sotto la ringhiera e il lungomare; nel 1929 venne iniziata la costruzione dell'enorme Palazzo del Governo ma per costruirlo venne distrutto il teatro Alhambra; in piazza della Vittoria venne costruito il monumento ai caduti della 1a Guerra Mondiale, solo la parte bassa; nel 1934 proprio Mussolini venne a Taranto per inaugurare il Palazzo del Governo e nella stessa mattinata diede il primo colpo di piccone per distruggere l'antico quartiere "Turripenne" della città vecchia che andava dalla discesa Vasto fino alla chiesa di S.Giuseppe. Cadde giù anche la cinquecentesca "Torre Nova". Nasceranno lì enormi e brutte case popolari. Dopo alcuni anni, nel 1940, Taranto si ritrovò di nuovo coinvolta nella 2a Guerra Mondiale.
Quando nel giugno del 1940 venne dichiarata la guerra, nel porto militare di Taranto nel Mar Piccolo, si concentrarono tutte le navi della flotta italiana esposte però alle ricognizioni degli aerei nemici. Quello che era prevedibile accadde la notte dell'11 novembre 1940, quando pochi aerei inglesi bombardarono la nostra flotta affondando e danneggiando numerose navi. Circa 60 furono i morti e 600 i feriti.
In quegli stessi anni solo l'arsenale lavorava molto, mentre tutti gli altri settori economici della città erano in crisi; per acquistare cibi essenziali, c'era il tesseramento. La paura dei bombardamenti spinse piano piano la gente ad abbandonare la città e a rifugiarsi nei piccoli paesi della provincia.
Altri grossi danni vennero procurati alla città dai bombardamenti del 2 giugno 1942. La caduta di Mussolini e il successivo armistizio fecero si che le truppe tedesche abbandonassero la città ma subito dopo le truppe alleate ne presero il possesso.
Numerosissime case ed edifici pubblici furono requisiti e trasformati in alloggi militari. Lo stesso museo, i cui oggetti erano stati portati in luoghi sicuri, fu utilizzato sia dagli alleati che dalla Croce Rossa. Furono abbattuti anche numerosi alberi della Villa Peripato per costruirvi una piscina per i soldati inglesi.
Solo per chi vendeva alla "borsa nera" le cose andavano bene. Ma finalmente il 25 aprile 1945 l'annuncio della fine della guerra arrivò mentre si svolgeva una riunione in Piazza della Vittoria. Era l'inizio di una nuova era. Gli anni che seguirono il secondo conflitto mondiale furono all'inizio molto duri ma pian piano intorno agli anni '60 scoppiò per tutti il "boom economico". Fabbriche e industrie sorsero un pò ovunque.
A Taranto agli inizi degli anni '60 venne costruito l'Italsider, una grandissima industria capace di dar lavoro a migliaia di operai. La città ha però dovuto subire i danni ecologici che una industria così grande procura all'ambiente.

Bibliografia:
"Taranto...nella storia" vol.I di G.Bruno, A.Tamborrino ed i loro alunni.
edizione M.Galli, S.Nicoletti, R.Pitrelli.


venerdì 10 aprile 2009

I Riti della settimana santa di Taranto



Riti della settimana santa di Taranto


La città di Taranto vive durante l'anno un periodo particolare, molto sentito dai tarantini, si tratta del periodo della Pasqua, durante il quale si celebrano
i riti della settimana santa, famosi in tutta la Puglia e su tutto il territorio nazionale.

I Riti della Settimana Santa a Taranto cominciano a partire dalla Domenica delle Palme, giorno durante il quale le due principali confraternite della città - la confraternita del Carmine e la confraternita dell'Addolorata- la prima con sede nella città nuova mentre la seconda ha sede nella città vecchia, disputano una gara per aggiudicarsi le statue che verranno portate in processione appunto durante la settimana santa.

 Alla gara vi partecipano solo i confratelli e l'asta si conclude con l'assegnazione delle statue ai migliori offerenti. Il ricavato dell'asta viene devoluto in beneficenza.

L'origine dei riti della settimana santa di Taranto affondano le proprie radici nella notte dei tempi, pare infatti che risalgano all'epoca della dominazione spagnola.

Secondo la leggenda il patrizio tarantino Don Diego Calò fece costruire a Napoli le due statue del Gesù Morto e dell'Addolorata e le donò alla confraternita del Carmine. I protagonisti principali dei riti della settimana santa di Taranto sono i perdoni (le perdùne), coppie di confratelli della Chiesa del Carmine che escono in pellegrinaggio verso tutte le chiese della città nuova e della città vecchia dove vengono allestiti i sepolcri.

 Caratteristiche principali dei Perdoni sono: l'abito, e il fatto che compiano il loro pellegrinaggio scalzi.

Segue la Processione dell'Addolorata, dalla chiesa di San Domenico Maggiore e procede per le strade del Borgo Antico e poi del Borgo Nuovo. La sera del venerdì santo si svolge la Processione dei misteri, accompagnata da due bande che suonano marce funebri.

La processione rientra nella chiesa del Carmine la mattina del Sabato Santo. È il preludio di momenti di tristezza e di meditazione sino alla mezzanotte, quando le campane delle chiese con il loro rintocchi annunciano che Cristo è risorto, ponendo fine ai riti della Settimana Santa tarantina. La processione è un momento sentito da tutta la città, un momento di forte devozione durante il quale tutti i tarantini, ma anche turisti provenienti da ogni parte della Puglia e d'Italia vivono con commozione e forte spiritualità.